Se qualcuno ti chiedesse di poter fotografare casa tua ed entrare nella quotidianità del tuo vivere quotidiano senza nemmeno conoscerti… cosa risponderesti? Sei un artista e queste cose le saprai sicuramente.
Jemai Zakaria.
Il castello di Zak è casa. E in quel senso che la parola home esprime meglio. Tu lo aspetti, lui arriva e ti fa cenno con la mano di seguirlo. Se con te hai qualche birra, tanto meglio. Ti porta nel sancta sanctorum, il centro del Castello, il cuore pulsante del suo mondo, riscaldato da una stufa e con alle pareti i suoi primi murales o la tela di una giovane studente dell’Accademia. Devi armeggiare per avere la luce lì dentro. Perché la corrente c’è, la produce un pannello solare, ma solo di giorno e per poche ora la sera, l’accumulatore non basta, ce ne vorrebbero tre. In più magari qualcuno si introduce di nascosto per fare foto o per rubare. Zak cammina nervoso, che quasi non mi guarda; gli hanno rubato una batteria di riserva per il cellulare e una presa multipla. Sono piccole cose che per lui contano molto. Allora mi dice che deve andare a chiedere di sotto, se qualcuno ha visto o sentito qualche cosa. E mi fa cenno che intanto posso fare degli scatti, mentre sparisce oltre una porta.
Sapete quando da piccoli vi trovate ospiti di una vecchia zia per il tè e improvvisamente lei vi lascia soli in soggiorno con davanti la tazza fumante e una vasca di biscotti? Uno ci si butta con l’imbarazzo di chi sa che da un momento all’altro può essere scoperto con le guance piene di dolci. E mi assale una sorta di timore, di rispetto reverenziale che mi porta a scattare poco. Perché quello che osservi non è un museo a cielo aperto, o semplicemente il tempio della street art, come molti lo hanno chiamato. Non è solo una bella location per fotografie. Il castello di Zak è come un organismo, un teatrum vitae; è la rappresentazione reale di ciò che la fantasia di Zakaria produce. Come una biblioteca di espressioni artistiche, di murales, di oggetti, libri, bombolette, colori, tele, rose sul pavimento, vestiti, pneumatici e cornici. E nulla, ma proprio nulla sembra in disordine o fuori posto.
Ti dico sinceramente che non ho creato questo posto per gli altri, ma per me. E mai diventerà un luogo pubblico per fotografare soltanto… ma un angolo di vita in una città di plastica dove tutto si può. Ma dove tutto svanisce presto.
Ci sediamo al tavolo, beviamo una birra. Zak mi racconta della guerra quando era soldato per la Lega Araba, quando ha dormito su una pila di cadaveri. Delle due lauree e di quando lavorava come traduttore. Di sua figlia – gli occhi si illuminano – che è campionessa italiana di lancio del giavellotto. Mi parla di qualcosa che ha fatto e ha cambiato la sua vita. Capisci che se ti fermi alle apparenze scopri ben poco di quel che c’è dentro. Che attraverso quattro vetri rotti si può capire ben poco della complessità di un edificio. O di un uomo.
La rabbia per il furto ora è passata. Zak si rilassa e sorride.
Lui fa le foto tutti i gironi delle pareti del Castello, con il suo cellulare. Lo spazio e le pareti cambiano, mutano al cambiare della luce. Perché di mattina arriva un rosso eccezionale dall’autostrada e al tramonto le ombre creano effetti mozzafiato. E io mi faccio un giro, visito tutte le stanze, con la gioia che solo la luce delle 17:00 a ottobre ti può dare. E più faccio foto, più mi rendo conto che fotografare il Castello è un po’ come fotografare sempre Zak.
Io di scatti ne ho fatti parecchi. Ma molti me li tengo per me. E avrò altre occasioni, ne sono sicuro. Perché il Castello di Zak è un luogo da rispettare, una casa con le regole, poche e semplici ma da seguire con attenzione. Se volete farvi un giro contattate lo zio Zak, quando avrete l’ok portate una cassa di bottiglie d’acqua e qualche birra, che è sempre gradita, e le vostre scarpe con voi dentro, tutti interi. Portate tutto quel che siete che è più facile condividere. Perché il Castello è condivisione.
Se volete andare al Castello solo per fare foto, beh… la fila è lunga.
PS: Le rose a terra Zak le ha messe per insegnare a fare molta attenzione quando si cammina. Le cose che cerchi, le cose importanti che contano, potrebbero essere proprio lì. Sotto il tuo naso.